giovedì 29 marzo 2012

VI PRESENTO LA SIGNORA CASSAZIONE


“VI PRESENTO LA SIGNORA CASSAZIONE” (una lezione del compianto avv. Titta Mazzuca, pubblicata sulla rivista Gli Oratori del giorno del mese di febbraio 2009 ed allegata alla relazione delll'Osservatorio sulla Cassazione dell'UCPI presentata al Congresso di Torino dell'ottobre 2009)

Il titolo di questo convegno – “Il controllo di legittimità sulle motivazioni” – rappresenta un punto culminante.
Prima tuttavia vorrei presentarvi la Signora Cassazione, che penso di conoscere bene avendola frequentata ininterrottamente da oltre cinquanta anni, esattamente dal 1953.


Luci ed ombre
Nella storia della Cassazione vi sono stati dei periodi luminosi, caratterizzati da sentenze splendide, che hanno costituito orientamenti sicuri per i giudici di merito.
Ad esempio, negli anni Cinquanta la Corte accolse alcuni principi di Bruno Cassinelli in tema d’infermità di mente. Stabilì la differenza fra infermità giuridica e malattia, ammettendo che la prima può discostarsi dalla seconda.
E stabilì come il grado d’incidenza dell’infermità, sulla capacità d’intendere e di volere, debba essere valutata in concreto e non con riferimento a classificazioni scientifiche enunciate in astratto.
Anche nell’epoca più recente vi sono stati periodi simili, ma con minore frequenza, specie dal momento in cui l’accesso dei magistrati alla Corte Suprema è avvenuto più sull’onda dell’anzianità che sulla valutazione del merito.
Positivo è stato il periodo in cui Corrado Carnevale ha diretto con sapienza e serietà la Prima Sezione Penale. Contro di lui una certa parte politica ha montato una campagna demagogica per il numero rilevante di sentenze annullate.
Invece, poiché la maggior parte degli annullamenti era dovuto a questioni di ordine processuale, la rilevanza del numero si spiegava col fatto che esse non potevano più essere ignorate quando si riscontravano nei processi successivi.
Lo strano sì è che, mentre le Corti presiedute da Carnevale erano tenute alla coerenza giurisprudenziale, ai magistrati che continuavano a commettere quelle nullità, nessuna critica venne rivolta!
Ma, nel tracciare un profilo della Corte che sia significativo, debbo indicarvi alcune tendenze abnormi, poiché - come la letteratura, secondo Gide, non si fa con i buoni sentimenti – così la storia critica di una istituzione non si può fare con la registrazione delle attività che rientrano nella norma.
Resistenza alle riforme
Una prima tendenza abnorme è quella ideologica, tesa alla conservazione del sistema e quindi alla svalutazione delle leggi di riforma.
E' un vecchio misoneismo che vede nelle riforme una diminuzione di potere.
Questa tendenza si è manifestata chiaramente nei confronti del codice di procedura penale del 1989. In proposito, sia sufficiente ricordare: la tolleranza delle valutazioni iniziali della polizia giudiziaria, ancorché il nuovo codice imponesse di limitarsi al resoconto dei fatti, tanto da chiamare "informative" i rapporti di denuncia, la svalutazione del principio di parità fra accusa e difesa, ancor prima che la legge n. 391 del 2000 aggiungesse nel codice un vero e proprio titolo, quello VI bis, sulle investigazioni difensive; la tolleranza all'ampliamento dell'ammissione di nuove prove da parte del giudice, ancorché l' art. 507 stabilisca il limite dell'assoluta necessità; la svalutazione dell'art. 511, che impone, in alternativa alla lettura, I'indicazione degli atti utilizzabili ai fini della decisione.
Un'altra svalutazione fra le più incomprensibili ed inaccettabili è quella relativa a i "nuovi motivi di ricorso", che, nonostante la dizione letterale, la Corte ha interpretato quale una semplice memoria, in quanto non si dovrebbero aggiungere altri motivi a quelli già dedotti nel ricorso principale.
Non ci si domanda perché il legislatore avrebbe dovuto chiamare questa memoria "nuovi motivi di ricorso".
E perché avrebbe dovuto prevedere una memoria rivolta alla Cassazione, quando, ai sensi dell'art. 121, le memorie sono previste "in ogni stato e grado del procedimento".
Come mai poi nell'art. 611 si consente - per il procedimento in camera di consiglio - la presentazione di "nuovi motivi e memorie", con ciò ribadendo che si tratta di generi diversi?
Infine, perché il nuovo codice, certamente ispirato al garantismo, avrebbe dovuto diminuire le facoltà difensive già concesse nel codice Rocco, che consentiva nei "motivi aggiunti" di dedurre nuove doglianze?
Trattasi, dunque, di una interpretazione che s’ispira appunto all’ideologia a cui ho accennato.
La conservazione prevale sulla nomofîlachia
Una seconda tendenza abnorme della Corte di Cassazione è quella che s'ispira alla conservazione delle sentenze e che spesso prevale sulla nomofilachia, cioè sul compito istituzionale di garantire l'uniformità nella interpretazione della legge.
Mentre è assolutamente legittimo preoccuparsi della prescrizione e precisarne la scadenza non appena il processo giunge presso la Corte, meno comprensibile è la tentazione - alla quale in qualche caso non si resiste - di trasformare il rigetto del ricorso nell'inammissibilità del medesimo, in maniera di evitare – secondo una recente giurisprudenza - la prescrizione che fosse nel frattempo intervenuta!
Un altro settore in cui la Corte di Cassazione appare oltremodo restrittiva è quella delle nullità assolute o generali, che spesso vengono intese come nullità "intermedie", se non addirittura come semplici irregolarità.
Non parliamo poi delle questioni d'illegittimità costituzionale.
E' veramente raro che la Cassazione abbia investito la Corte Costituzionale d'un qualche problema, mentre le più numerose ordinanze di sospetta incostituzionalità d'una norma sono state quelle pronunciate dai pretori.
Del resto, la Cassazione, sin dall'inizio, cercò di ritardare I'applicazione di alcuni principi costituzionali, distinguendo nella Carta le norme programmatiche da quelle precettive.
Il processo inteso come strumento
Non si può sottacere che, anche presso la Corte Suprema è penetrata una certa cultura dell'emergenza, del processo penale inteso come strumento di lotta alla criminalità, anziché come delicato sistema di pesi e contrappesi per misurare la validità delle prove.
Conseguentemente si è verificata una certa dilatazione delle fattispecie legali per aumentare l' area d'intervento del giudice penale.
L'esempio più clamoroso è quello della creazione giurisprudenziale del "concorso esterno nel delitto di associazione mafiosa".
Ora, poiché la condotta di questo reato consiste esclusivamente nella partecipazione, e quest'ultima non può verificarsi rimanendo all'esterno, I'unica ipotesi potrebbe essere il favoreggiamento personale d'un associato, mai il concorso nello stesso reato di colui che si associa.
Un capitolo a parte meriterebbe il problema del numero enorme dei ricorsi che si riversano sulla Corte.
Questo problema – anziché essere affrontato legislativamente, attraverso la depenalizzazione dei reati minori, I'incentivazione dei patteggiamenti, una maggiore applicazione delle archiviazioni, una durata ragionevole dei procedimenti in maniera da non rendere appetibile la prescrizione – viene risolto dalla stessa Cassazione.
Si procede ad un iniziale spoglio e, quando il magistrato addetto ritiene che il ricorso vada eliminato, lo invia alla Procura Generale.
Quest'ultima, servendosi d'un modulo prestampato, sbarra una delle caselle (tipica quella con la dizione "censura in fatto") e chiede I'inammissibilità. Il ricorso viene così inviato alla Settima Sezione, che lo fissa in una camera di consiglio in cui non è prevista la partecipazione del difensore (cosiddetta" camerone").
Qui di solito, in una sola udienza, si dichiarano inammissibili cento-centocinquanta ricorsi, senza che vi sia il tempo materiale di comprendere collegialmente I' essenza della questione.
Sono casi in cui la Signora Cassazione sembra impersonare la vicenda di "Arsenico e vecchi merletti..."
Sindacato problematico sulle motivazioni
Giunti al punto culminante del nostro incontro vale la pena di ricordare che nel nostro sistema, la motivazione delle sentenze e degli altri provvedimenti del giudice costituisce ormai I'unica effettiva garanzia che ci rimane.
Infatti, un tempo - nei giudizi più gravi, quelli di cui era competente la Corte d'Assise, in essi comprese allora le rapine – esisteva la Giuria vera e propria, che si riuniva in camera di consiglio, senza la partecipazione di alcun giudice togato, ed emanava il verdetto.
Poi il fascismo abolì questa garanzia: una garanzia effettiva, perché libera da incrostazioni corporative, ed emblematiche, perché il cittadino veniva giudicato da altri cittadini suoi pari.
Ebbene, nella misura in cui un regime totalitario riteneva giusto abolire la Giuria, era assurdo che il regime democratico si appiattisse su tale misura e si accontentasse di una parvenza di giuria, d'una sorta di "scabinato", nel quale i giudici popolari decidono - si fa per dire – insieme a due giudici togati solitamente esperti e ben motivati...
Rimane la garanzia della motivazione delle sentenze.
Ma debbo dire che I'uso del computer la sta insidiando. Perché?
Perché col sistema del "taglia e cuci" si sta diffondendo I'abitudine d'inserire nella sentenza lunghi brani del processo, con un'ampiezza tale che finisce per soffocare la comprensione del convincimento del giudice, peraltro insufficientemente espresso.
Per il resto, il panorama delle motivazioni non mi sembra che sia allettante.
Accanto a quelle di cui si è appena detto, non mancano quelle sommarie, né quelle cervellotiche - che la stampa diffonde quando le percepisce - e soprattutto quelle congetturali.
Le cause sono molteplici.
II Giudice alla ricerca della verità!
Anzitutto vi è una tendenza alla condanna degli imputati, che sorge - ed è psicologicamente comprensibile - dalla consapevolezza che I'ottanta per cento dei reati che si commettono è a carico d'ignoti.
Quindi, I'altro venti per cento attira una sorta di rivalsa.
Inoltre, I'istituto del libero convincimento spesso è male interpretato, quasi che quel convincimento fosse una stazione di arrivo e non una strada da percorrere per giungere alla certezza.
Poi la cosiddetta" ricerca della verità" è assegnata ancora, come nell'inquisizione, al giudice, che diviene così un protagonista, anziché un impassibile spettatore al di sopra delle parti, con I'impegno di misurare la validità delle prove da esse presentate.
Infine, la burocratizzazione del processo, con la frammentazione della raccolta delle prove in brevissime udienze a distanza di mesi I'una dall'altra, determina la perdita d'una visione unitaria e quindi la possibile valorizzazione di elementi disparati e secondari.
Ebbene, il controllo delle motivazioni dei giudici di merito da parte della Corte di Cassazione è stato problematico, specie prima che intervenisse la legge n. 46 del 2006.
Infatti, l'art. 606, lett. d) stabiliva che in tanto era possibile censurare "la mancanza o manifesta illogicità della motivazione" in quanto il vizio risultasse dal testo del provvedimento impugnato.
Ma era estremamente agevole per I'estensore eliminare da quel testo tutto ciò che potesse contrastare "manifestamente" con la tesi del giudice.
Solo con la modifica apportata dalla legge n . 46 del 2006 - che ha stabilito che i vizi previsti dall'art. 606, lett. d) potevano risultare, oltre che dal testo del provvedimento impugnato, anche "da altri atti del processo specificamente indicati nei motivi di gravame" - si è data la possibilità di censurare i vizi nella motivazione, evitando ogni possibile sotterfugio.
Perché fu reintrodotto il travisamento del fatto
Tra parentesi va detto che questa opportuna modifica legislativa non è intervenuta a richiesta dell'avvocatura associata, bensì allorché fu tolta al PM la possibilità di appellare le sentenze di assoluzione degli imputati e quindi si provvide ad aumentare per il predetto - e ineluttabilmente anche per la altre parti - le risorse del ricorso per Cassazione.
Queste risorse poi rimasero, anche quando la Corte Costituzionale ripristinò I'appello del PM contro le sentenze di assoluzione degli imputati.
Questa volta su sollecitazione della magistratura associata!
L'altra censura sulle motivazioni che I'art. 606 prevede alla lett. d) è quella della "mancata assunzione di una prova decisiva quando la parte ne ha fatto richiesta anche nel corso dell'istruzione dibattimentale, limitatamente ai casi previsti nell'art. 495, comma 2". Questo controllo è davvero problematico, poiché è facile esporsi all'accusa d'una censura in fatto, allorché si debba dimostrare la decisività di una prova, che ovviamente va messa in relazione alle altre risultanze processuali!
Il divieto di “inspicere in actis”
L'ostacolo maggiore all'effettivo sindacato sulla motivazione è rappresentato appunto dall'impossibilità di richiamare direttamente le risultanze processuali, nei casi in cui le sentenze non abbiano rispettato, quanto al loro contenuto, le regole stabilite dall'art. 546 cpp.
E' una difficoltà che si manifesta perfino in tema di travisamento del fatto.
Su tale tema esiste una contrastante giurisprudenza presso due Sezioni diverse della Corte: mentre secondo la Sesta è consentito I'esame degli atti, secondo la Terza il travisamento dev'essere riscontrato "tra le diverse proposizioni contenute nella motivazione stessa, senza alcuna possibilità di ricorrere al controllo delle risultanze processuali".
Consigli ai giovani colleghi
Concludo rallegrandomi per la presenza di tanti giovani colleghi. A loro mi permetto di dare tre consigli.
Il primo è un consiglio generale: oltre ad un profondo studio del processo, non conviene porre dei limiti al tempo da dedicare alla meditazione degli argomenti difensivi: più è ampio e si protrae sino al momento della discussione, più subentrano idee nuove, qualche volta risolutive.
Secondo consiglio: occorre lasciare una traccia precisa di ogni questione che si solleva, prevedendo il ricorso per Cassazione sin dal giudizio di primo grado.
Terzo consiglio: il ricorso per cassazione dev’essere preparato soprattutto con i motivi di appello, oltre che ovviamente con i motivi di ricorso.
Poi, una volta giunti in Cassazione, bisogna comprendere che la causa non è più la stessa, bisogna vederla panoramicamente, frigido pacatoque animo, per individuare i due-tre punti che possono essere rivalutati in giudizio ben diverso da quelli precedenti.
Insomma, occorre prendere una certa distanza dalla causa e soprattutto da se stesso.

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